Abstract
La seconda guerra mondiale ha rappresentato, per tutta l’Europa, un periodo molto difficile dal punto di vista dell’approvvigionamento del cibo e in molte aree la popolazione civile ha sofferto la fame, arrivando anche alla morte. I Paesi europei coinvolti nel conflitto hanno reagito in maniera differente a livello di politiche alimentari, per contrastare questo problema, e gli effetti di tali politiche hanno dato risultati diversi. Affronteremo questo tema attraverso l’approfondimento di tre aspetti:
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la riduzione della disponibilità di cibo che caratterizza tutte le guerre;
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l’evidenza della fame e della privazione sulla popolazione civile;
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la rappresentazione propagandistica di un’Italia che non soffre ma riesce “serenamente” a fronteggiare l’emergenza alimentare.
Oggetto del laboratorio: Le fonti mostrano come gli eventi bellici e le politiche governative italiane abbiano portato ad una situazione, se pur variegata, di penuria e di assoluta carenza ed evidenziano le pessime condizioni della popolazione civile e la difficoltà nel procurarsi il cibo. D’altro canto altre tipologie di documenti presentano, nella visione ufficiale del regime, l’immagine di un’Italia che non soffre e che è in grado di utilizzare forme e metodi di sopravvivenza particolari. Fondamentale sarà il confronto tra le due rappresentazioni, con lo sguardo rivolto alla situazione italiana ma mantenendo aperta una prospettiva europea.
Finalità del laboratorio: in una logica di guerra totale mostrare come il conflitto trasformi completamente la vita quotidiana della popolazione civile, anche lontano dalle zone del fronte.
Classi coinvolte: classi 3e, scuola secondaria di primo grado.
Durata: 4-6 ore
Prerequisiti:
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Conoscenze di base degli avvenimenti della seconda guerra mondiale in Italia
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Conoscenza di base della geografia europea
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Esperienza di base nell’uso delle fonti storiche
Obiettivi: Acquisire competenze relative a:
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decodificare, analizzare e distinguere diverse tipologie di fonte e di testi;
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ricavare informazioni da ogni tipologia di fonte e di testi;
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riconoscere le argomentazioni e l’intenzionalità di chi ha prodotto il documento;
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individuare elementi comuni e parole chiave;
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procedere per confronto, per analogia e differenza, ricavare modelli e interpretazioni;
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comporre dati e informazioni, attraverso chiavi di lettura, temporali, spaziali, sociali, culturali;
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costruire linee del tempo, riconoscere l’ordine temporale della narrazione;
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acquisire strumenti lessicali e concettuali propri della disciplina storica e utilizzarli in maniera corretta;
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ascoltare, capire e seguire le argomentazioni dell’altro;
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utilizzare intenzionalmente un lessico specifico per una sintesi espositiva.
Metodologia e articolazione dell’attività
L’attività di laboratorio si svolge nella classe, strutturata in gruppi di lavoro, e prevede le seguenti operazioni:
1. selezionare da un archivio simulato costruito ad hoc alcuni documenti sulla base dei temi suggeriti;
2. interrogare i documenti a seconda della loro diversa tipologia (critica della fonte, ricerca di indizi, ecc…);
3. elaborare una sintesi delle informazioni raccolte a partire dall’intreccio dei documenti inseriti nel laboratorio;
4. mettere a confronto i risultati di ciascun gruppo di lavoro, sulle diverse informazioni-rappresentazioni che l’analisi delle fonti ha restituito. Lavoro che è da intendersi come preliminare alla produzione di un testo storico (scritto, orale, visivo, ecc…)
Alcune fonti
Documenti e fotografie
Documenti audiovisivi
I dati quantitativi
Memorialistica
“Il pane veniva mangiato tutto e subito, sia perché era poco sia perché era così cattivo che se non veniva mangiato subito diventava tanto duro da mettere a rischio i denti. Per i giorni che non c’era la vendita, il pane bisognava farselo in casa con la farina di fortuna e senza lievito perché, con la guerra, era sparito anche quello. […] Il sale, però, non si comprava in farmacia né in nessun altro posto. Il sale non c’era. Ma sotto questo profilo Venezia era fortunata: c’erano i canali. Si andava con il pentolone più grande della casa al canale più vicino, si riempiva d’acqua e, tornati a casa, si metteva il pentolone su un angolo della cucina economica ad evaporare lentamente finché, in pochi giorni, sul fondo della pentola restava solo uno strato di sale.”
Testimonianza di Maria Rosalia Binetti, in Giulia Albanese – Marco Borghi (a cura di), Memoria resistente. La lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, Iveser, Venezia, 2005, p.858
“1941
25 settembre
Ah, no! Perdio, il pane no! Ci hanno tesserato l’olio, il burro, il sapone, la farina, lo zucchero: ci danno un etto di carne per settimana; ci hanno privato completamente di pasta, riso, salumi, tonno, carne in scatola, uova […]; sono in corso di tesseramento le patate, i fagioli, e perfino il formaggio che restava la nostra unica risorsa; non parliamo delle paste, biscotti e simili, di cui è sospesa la fabbricazione; ma, vivaddio, ci restava il pane! Andando dal fornaio per tempo e facendo un po’ di coda, si poteva averne a larga sufficienza. E fin che c’è pane, la fame non si fa sentire!
Maria Carazzolo, Più forte della paura. Diario di guerra e dopoguerra (1938-1947), Verona, 2007, pp.61-62
“Per cibo avevamo il formaggio e il latte della nostra mucca, il maiale e le frittate fatte con poche uova, perché le uova erano preziose quanto il denaro, e quindi quando dovevamo comprare qualcosa in negozio, pagavamo con le uova. […] Con un uovo il commerciante ci dava un po’ di cibo, si andava a comprare soprattutto zucchero, sale, riso e olio.”
Ricordi di nonna Speranza G., in Barbara Cercato-Amina Gabriele (a cura di), La Storia è nella Memoria. 1940-1945: ricordi e racconti, Trieste, 2004, p.17.
Qui la vita è diventata veramente difficile. Ai merci non si trova più nulla; i produttori non portano più nulla a causa dei prezzi stabiliti dallo Stato perché, secondo loro, non sono adeguati al costo generale della vita e figurati in quali sofferenze inaudite ci dibattiamo per questi insaziabili di guadagni. Approfittando dello stato attuale delle cose, tutti gli speculatori e produttori si sono mesi in testa di far quattrini a bizzeffe e sembra che nessun freno li fermi tanta è la voglia di far denaro.
Lettera mandata da Firenze il 10 giugno 1942, intercettata dalla censura.
Precettistica del tempo di guerra
Disciplina della code
Costrette alle volte a pazientare in fila, “accodate” lungamente per avere un genere alimentare o l’altro, più o meno tesserato, necessita armarsi di pazienza; ma non diciamo di pazienza supina o pecorona, bensì di quella illuminata di coscienza, di quella che ci fa sopportare saldamente pensando come tutto è nulla, e si svuotano di qualsiasi importanza tali sacrifici, nei confronti di ciò che soffrono i nostri uomini al fronte. Manchiamo di amore e rispetto verso di loro, lamentandoci aspramente di questi inconvenienti. Soprattutto ciascuno di noi deve saper tenere il proprio posto con militare rigore. Chi si permette di gestire malamente, di urtare gli altri, di fare sgarbatamente a gomitate, di usurpare i diritti di coloro che sono arrivati prima, manca fondamentalmente, macchia la sua onestà civile e patriottica.Lunella De Seta, La cucina del tempo di guerra, Milano, Salani, 1942, p. 337.
Olio misto d’olio e di lino
Ma dove si trova questo olio misto? Semplice. Dovete prepararvelo da voi con poco vero, autentico, olio di oliva, semi di lino e molta acqua. […] Impiegando 125 grammi d’olio, 25 grammi di semi di lino e un litro scarso d’acqua. Si uniscono a freddo i tre ingredienti, mescolandovi insieme (sempre a freddo) un cucchiaio di aceto, una presa di sale, una puntina di zafferano. Si mette il tutto a riscaldare al fuoco e quando si sia raggiunto il bollore, si fa bollire lentamente per 20-25 minuti.L. De Seta, La cucina del tempo di guerra, Milano, Salani, 1942, p. 35.
PARTE SECONDA Un possibile sviluppo
Diamo qui di seguito un esempio, fra i numerosi possibili, di come sviluppare i temi proposti attraverso la selezione di alcuni documenti dall’archivio simulato. Dopo la selezione, abbiamo costruito il percorso laboratoriale interrogando e cercando indizi nelle singole fonti – avendo cura di intrecciare fra loro documenti di tipologia differente – per costruire una sequenza che permettesse di tematizzare e narrare storicamente i fatti.
Il laboratorio si apre con un video, utile a suggerire temi e problemi.
Da “Correva l’anno”, Rai1, 2005 (Archivio dell’Istituto Luce, Roma, 1940-1945);
La visione potrà essere introdotta da alcune riflessioni da parte dell’insegnante o potrà essere lasciata alla libera interpretazione degli studenti. Fondamentale sarà esplicitare che si tratta di un filmato dell’Istituto Luce, con chiari intenti di propaganda.
I temi focalizzati sono:
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l’importanza del pane e del frumento. Mussolini stesso era autore di una “Preghiera al pane”, della quale si possono leggere alcuni versi. Il pane diventa simbolo di una semplicità di consumo e di vita che si vuole riconoscere propria della nazione in guerra.
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il razionamento, il tesseramento e i loro effetti sulla vita quotidiana. Acquistare beni tesserati significa che un consumatore può riceverne solo una quota prefissata. L’esercente taglia i bollini della tessera a fronte della consegna della razione quotidiana pro-capite.
Il video apre ad alcune considerazioni che possono diventare domande-guida per gli studenti.
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Che cosa può significare questa forte attenzione per il frumento e il pane? Suggerisce l’immagine di un Paese ricco?
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Osserva come viene rappresentata la produzione delle pagnotte. Cosa suggerisce?
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Perché il negoziante taglia un frammento della tessera?
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Come sono presentate le donne che vanno a fare la spesa?
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Il fatto che appaiano abituate e competenti che cosa suggerisce?
Documento di una realtà ricostruita, il filmato ha il merito di introdurre ad entrambe le questioni che il laboratorio intende focalizzare: il clima di ristrettezze (in una situazione di normalità non è necessario tesserare il pane) e la volontà di superare una situazione difficile attraverso la costruzione di una narrazione ottimistica, volta a sostenere la popolazione, ma anche a nascondere gli aspetti più drammatici che la guerra porta nella vita quotidiana.
Il fatto che il pane fosse la base dell’alimentazione per molti è confermato anche nella memorialistica. Come si può leggere nei brani seguenti:
“Il pane veniva mangiato tutto e subito, sia perché era poco sia perché era così cattivo che se non veniva mangiato subito diventava tanto duro da mettere a rischio i denti. Per i giorni che non c’era la vendita, il pane bisognava farselo in casa con la farina di fortuna e senza lievito perché, con la guerra, era sparito anche quello. […] Il sale, però, non si comprava in farmacia né in nessun altro posto. Il sale non c’era. Ma sotto questo profilo Venezia era fortunata: c’erano i canali. Si andava con il pentolone più grande della casa al canale più vicino, si riempiva d’acqua e, tornati a casa, si metteva il pentolone su un angolo della cucina economica ad evaporare lentamente finché, in pochi giorni, sul fondo della pentola restava solo uno strato di sale.”
Testimonianza di Maria Rosalia Binetti, in Giulia Albanese – Marco Borghi (a cura di), Memoria resistente. La lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, Iveser, Venezia, 2005, p.858
“1941
25 settembre
Ah, no! Perdio, il pane no! Ci hanno tesserato l’olio, il burro, il sapone, la farina, lo zucchero: ci danno un etto di carne per settimana; ci hanno privato completamente di pasta, riso, salumi, tonno, carne in scatola, uova […]; sono in corso di tesseramento le patate, i fagioli, e perfino il formaggio che restava la nostra unica risorsa; non parliamo delle paste, biscotti e simili, di cui è sospesa la fabbricazione; ma, vivaddio, ci restava il pane! Andando dal fornaio per tempo e facendo un po’ di coda, si poteva averne a larga sufficienza. E fin che c’è pane, la fame non si fa sentire!
Maria Carazzolo, Più forte della paura. Diario di guerra e dopoguerra (1938-1947), Verona, 2007, pp.61-62
Tutti i documenti finora analizzati parlano di politiche di razionamento (vedi Approfondimento) e richiamano l’uso della tessera annonaria (vedi Approfondimento).
L’analisi di una di queste tessere permette di comprendere meglio alcuni dettagli.
Approfondimento 1. Razionamento
Si parla di razionamento quando, di solito in occasione di calamità o guerre, l’amministrazione provvede a limitare l’uso di alimenti o beni ritenuti insufficienti, al fine di raccoglierli e ridistribuirli secondo criteri determinati. In Italia le norme per il razionamento entrano in vigore il 2 maggio 1940, attraverso l’istituzione della Sezione Provinciale Alimenti (Sepral), organismo che gestisce gli Ammassi e la distribuzione del cibo. Ma l’irregolarità delle distribuzioni provoca ben presto fenomeni di contrabbando e Mercato nero che aggravano l’inflazione (dal 1940 al 1942 il costo per la spesa alimentare ha un incremento del 67%).
Approfondimento 2. Tessera annonaria
Gli acquisti degli alimenti razionati sono controllati dal prefetto attraverso l’ausilio di una Carta (o tessera) annonaria. Si tratta di un documento nominativo, bimestrale, che permette, di prenotare, presso un riveditore autorizzato, generi alimentari o di altra tipologia. Il suo uso segna la vita degli italiani dal 1940 al 1949. Viene stampata su carta di colori diversi per le differenti fasce d’età: verde per i bambini fino agli otto anni, azzurra per i ragazzi dai nove ai diciotto, grigia per gli adulti. Su ognuna compare la generalità del possessore, scritta con inchiostro nero indelebile. L’acquirente, dopo una coda spesso molto lunga, la presenta al negoziante che taglia le strisce in cima e appone un timbro. Le date di prenotazione e ritiro dei generi alimentari sono annunciate tramite manifesti e trafiletti sui giornali.
Compito di un gruppo di lavoro o della classe, potrebbe essere analizzarla e descriverla per capire quali generi erano tesserati.
Per far capire come la qualità dell’alimentazione venga deteriorandosi nel corso del conflitto, sono particolarmente efficaci i dati quantitativi, qui resi graficamente attraverso il tool Infogram. Dati analoghi possono essere trattati in classe per costruire simili infografiche. Le tabelle con i dati quantitativi aiutano a comprendere la situazione in Europa e in Italia a e mostrare il lento ma inesorabile abbassamento della calorie pro-capite e il progressivo farsi raro dei generi alimentari anche più diffusi (soprattutto gli alimenti freschi).
Gli stessi dati della Tabella 1 visualizzati su una mappa
In Italia, già poche settimane dopo l’inizio del conflitto, vengono emanate circolari per la limitazione dei consumi voluttuari. Pasticceria e gelati, come si è già osservato nelle fonti di memorialistica, diventano introvabili. Farina, zucchero e grassi sono divenuti rari e non devono essere sprecati per la produzione di generi che non sono di prima necessità.
E’ solo l’inizio di un progressivo peggioramento delle condizioni alimentari. I dati di questa trasformazione possono essere riassunti e resi visibili attraverso la costruzione di una linea del tempo che scandisce i provvedimenti restrittivi.
Le tappe del razionamento in Italia
Capita spesso che i negozi siano sforniti e diventa frequente dovere attendere a lungo prima di potere entrare nel negozio per prenotare o ritirare le merci.
Fila al mercato delle erbe (Archivio ANPI Bologna)Questa foto della Bologna del 1944 rappresenta una situazione molto comune, tanto che in alcuni ricettari dell’epoca compaiono riferimenti specifici. Come nell’esempio seguente.
Disciplina delle code
Costrette alle volte a pazientare in fila, “accodate” lungamente per avere un genere alimentare o l’altro, più o meno tesserato, necessita armarsi di pazienza; ma non diciamo di pazienza supina o pecorona, bensì di quella illuminata di coscienza, di quella che ci fa sopportare saldamente pensando come tutto è nulla, e si svuotano di qualsiasi importanza tali sacrifici, nei confronti di ciò che soffrono i nostri uomini al fronte. Manchiamo di amore e rispetto verso di loro, lamentandoci aspramente di questi inconvenienti. Soprattutto ciascuno di noi deve saper tenere il proprio posto con militare rigore. Chi si permette di gestire malamente, di urtare gli altri, di fare sgarbatamente a gomitate, di usurpare i diritti di coloro che sono arrivati prima, manca fondamentalmente, macchia la sua onestà civile e patriottica.
Lunella De Seta, La cucina del tempo di guerra, Milano, Salani, 1942, p. 337.
Alcune domande possono aiutare a capire meglio una realtà che può apparire molto distante da quella degli studenti di oggi:
- Osserva la foto. Cosa vedi? Ci sono dei segni che evidenziano che ci troviamo in guerra? In una particolare fase della guerra?
- Chi sta facendo la fila?
- Ti sembra una fila che si esaurirà velocemente?
- Nello stralcio tratto dal ricettario quali sono le motivazioni che spingono l’autrice al rispetto di alcune regole?
- Perché non ci si deve lamentare delle difficoltà?
- Ci sono dei termini che suggeriscono un taglio propagandistico?
È una situazione difficile, ma non la peggiore possibile. Nelle zone delle operazioni militari o dove i bombardamenti hanno colpito più duramente, paesi e città sono irriconoscibili e i negozi distrutti. Come si vede dal video che segue.
Ma gli effetti della guerra nelle città non solo soltanto quelli della distruzione; alcuni provvedimenti del regime rendono alcune zone urbane simili alle campagne. Come si è già visto attraverso i dati inseriti nei grafici, verdure, frutta, prodotti dell’orto escono dal mercato cittadino. Gli approvvigionamenti di questi generi alimentari sono per lo più legati a un quotidiano rapporto fra città e campagna che la guerra interrompe. Il regime propone e incentiva l’auto-produzione: nei balconi di casa, nelle aiuole, negli spiazzi erbosi è possibile coltivare ortaggi; nei parchi pubblici addirittura il grano. In terrazza o in giardino privato si possono allevare piccoli animali da cortile come galline e conigli.
Questa foto mostra una zona del centro cittadino di Bologna adibita a orto. A differenze delle due immagini che seguiranno è tratta da un archivio privato, senza scopo di propaganda.
I due documenti ricavati dalla pagine di giornale (“Il Resto del Carlino”) mostrano chiaramente un intento propagandistico.
Alcune domande possono guidare l’analisi:
- Nello striscione della prima foto c’è scritto che coltivare un orto di guerra è un dovere. Cosa vuole dire secondo te?
- Il confronto fra queste immagini e la foto che rappresenta la fila davanti ai negozi che riflessioni ti suggerisce? Credi che la politica che ha incentivato la coltivazione di orti di guerra sia servita a risolvere il problema della fame?
- Perché la piazza principale di una città di medie dimensioni come Bologna diventa il luogo di trebbiatura del grano (non a caso la didascalia parla di “eccezionale avvenimento”).
- Osserva il pubblico della seconda fotografia. Ti sembra costituito da contadini o da addetti ai lavori agricoli?
Un video dell’Istituto Luce mostra alcuni luoghi di Roma trasformati in orti a cielo aperto.
Anche qui, come già nelle foto della trebbiatura in piazza, i protagonisti della scena sono cittadini. Donne e uomini che, in abiti borghesi e mostrando pochissima dimestichezza con il lavoro dei campi, provvedono al raccolto. Anche in questo caso il taglio propagandistico è evidente: un’analisi approfondita delle immagini e del montaggio può svelare molti indizi rivelatori. Si consiglia di proporre agli studenti due o tre visioni consecutive con l’accorgimento di porre attenzione solo ad alcuni dettagli (una prima visione potrebbe essere dedicata alla descrizione del contesto ambientale, una seconda all’osservazione dei protagonisti e del loro abbigliamento, una terza alle azioni compiute). Le osservazioni potrebbero confluire in un documento di schedatura.
Un altro importante provvedimento per limitare spreco e mercato nero era la politica degli Ammassi (vedi Approfondimento) che riguardava moltissimi prodotti agricoli. Il documento che segue annuncia un provvedimento di conferimento all’ammasso delle uova.
Le uova, in effetti, rivestirono fin da subito un ruolo centrale nel mercato di guerra. Come ci dimostra questo stralcio tratto dalla memorialistica:
“Per cibo avevamo il formaggio e il latte della nostra mucca, il maiale e le frittate fatte con poche uova, perché le uova erano preziose quanto il denaro, e quindi quando dovevamo comprare qualcosa in negozio, pagavamo con le uova. […] Con un uovo il commerciante ci dava un po’ di cibo, si andava a comprare soprattutto zucchero, sale, riso e olio.”
Ricordi di nonna Speranza G., in Barbara Cercato-Amina Gabriele (a cura di), La Storia è nella Memoria. 1940-1945: ricordi e racconti, Trieste, 2004, p.17.
Approfondimento 3. Gli ammassi
Provvedimento che introduce un limite al diritto di proprietà su alcuni prodotti. Di fatto l’ammasso obbliga il produttore a consegnare allo Stato una quota prefissata dalla propria produzione, venduta a un prezzo stabilito per legge. Istituito in Italia come misura volontaria per il grano già nel 1935, si diffonde con la seconda guerra mondiale e finisce per riguardare un gran numero di produzioni di materia prima agricola.
La tesaurizzazione di alcuni beni di prima necessità è la prova di un regime di grandi ristrettezze che si può leggere anche in altre tipologie di documenti. Il sale diventa talmente raro e prezioso da essere equiparato al denaro. Per incentivare la delazione nei confronti dei partigiani, ad esempio, alcuni comandi delle forze occupanti promettono premi in denaro e sale.
Negli ultimi mesi di guerra è sempre più frequente che la popolazione non riesca più a procurarsi di che vivere. Per questo motivo in molti comuni s’inaugurano servizi di Mense del Popolo nelle quali sono distribuite minestre a fronte di una piccola quota in denaro.
Se la stragrande maggioranza della popolazione soffre la fame, c’è una piccola minoranza che approfitta della situazione per arricchirsi. Il mercato nero (vedi Approfondimento) prospera e le autorità difficilmente riescono a controllarlo. Come dimostra questo stralcio di una fonte di memorialistica:
Qui la vita è diventata veramente difficile. Ai merci non si trova più nulla; i produttori non portano più nulla a causa dei prezzi stabiliti dallo Stato perché, secondo loro, non sono adeguati al costo generale della vita e figurati in quali sofferenze inaudite ci dibattiamo per questi insaziabili di guadagni. Approfittando dello stato attuale delle cose, tutti gli speculatori e produttori si sono mesi in testa di far quattrini a bizzeffe e sembra che nessun freno li fermi tanta è la voglia di far denaro.
Lettera mandata da Firenze il 10 giugno 1942, intercettata dalla censura.
La borsa nera è una realtà assai diffusa eppure ha lasciato pochissime tracce di sé. Del resto la sua natura di attività proibita e sanzionata portava coloro che se ne occupavano alla massima discrezione. Qui la vediamo rappresentata in uno stralcio dal film “Abbasso la miseria”.
Approfondimento 4. Il mercato nero
Il mercato nero (o borsa nera) indica quegli scambi commerciali esercitati illegalmente. Il fenomeno è molto diffuso durante la seconda guerra mondiale, ma si propone con diversa intensità al nord e al sud della penisola. Al nord le politiche del razionamento e degli ammassi regolamentano il mercato con maggiore efficacia, mentre al centro-sud (soprattutto a Roma e a Napoli) gli acquisti di contrabbando sono più diffusi di quelli del mercato regolare. A Roma la spesa media alimentare per un nucleo famigliare, pari nel 1938 a 408 lire mensili, sale a 2.533 nel settembre 1943, e a 9.339 nel settembre 1944. Di queste cifre solo il 4% avviene per acquisti con la tessera, il 26% si riversa nel mercato libero di generi non razionati e il 70% sul mercato nero. Si evince un clima di forte disagio testimoniato anche dal registro di ricettari di guerra sempre più laconici e attenti a riportare ricette utili a recuperare persino le briciole e risparmiare su qualunque cosa, come nell’esempio seguente.
Olio misto d’olio e di lino
Ma dove si trova questo olio misto? Semplice. Dovete prepararvelo da voi con poco vero, autentico, olio di oliva, semi di lino e molta acqua. […] Impiegando 125 grammi d’olio, 25 grammi di semi di lino e un litro scarso d’acqua. Si uniscono a freddo i tre ingredienti, mescolandovi insieme (sempre a freddo) un cucchiaio di aceto, una presa di sale, una puntina di zafferano. Si mette il tutto a riscaldare al fuoco e quando si sia raggiunto il bollore, si fa bollire lentamente per 20-25 minuti.L. De Seta, La cucina del tempo di guerra, Milano, Salani, 1942, p. 35.
Interessante notare come questa ricetta per ricavare olio annacquato dalla bollitura di una minima parte di grasso vegetale sia proposta nel 1942, un anno prima del biennio 1943-1945: il periodo peggiore del conflitto in Italia, la fase più difficile per la sopravvivenza.
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